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Immagine del redattorePolitics Hub

Will he really “Make America Great Again”?

“Questo è un movimento mai visto prima, questo è il più grande movimento della storia. Aiuteremo il Paese a lenire le ferite, sistemeremo tanti problemi, tra cui quello del confine” questo l’incipit del discorso di Trump tenuto al Convention center di Palm Beach, dopo l’annunciata vittoria da parte di Fox News. Sul palco veste il ruolo del buon padre e dell’amico che si rivolge ai suoi sostenitori, al termine di una campagna elettorale durata mesi.

Politics Hub, di fronte ai capovolgimenti della corsa alla Casa Bianca, ha voluto sondare l’opinione dei giovani e di alcuni esperti attraverso un festival, diviso in tre date, dal titolo “Oggi al voto, domani al futuro”. Domande e spunti tratti proprio dai comizi dei due candidati hanno acceso il dibattito attorno ai temi scottanti di queste elezioni, mantenendo una visione dualista rivolta verso i due principali avversari: Kamala e Trump.


Migrazione incontrollata

Non è un caso che il confine rientri tra le prime parole di Trump sul palco della vittoria, proprio l’immigrazione, infatti, è stata tra le principali questioni oggetto di discussione durante il festival. “L’immigrazione è un pericolo in tanti casi, ci vuole un sistema di accoglienza che ha un costo per lo Stato. Parlare di deportazione è un termine molto forte ma l’immigrazione è un problema per gli statunitensi” ha commentato qualcuno, in occasione del Caffè politico, riferendosi alla volontà di Trump di dare inizio “alla più grande fase di deportazione degli Stati Uniti”. Effettivamente Goldman Sachs, società leader che opera a livello mondiale nell’investment banking, ha stimato che l’immigrazione netta negli Stati Uniti sia salita a circa 2,5 milioni nel 2023, il livello più alto degli ultimi due decenni. Secondo una ricerca della banca d’affari statunitense, gli immigrati non autorizzati provenienti dal Sud America, dall’America Centrale e dal Messico hanno rappresentato la maggior parte del recente aumento dell’immigrazione. 

Nel merito si è espressa anche la vicepresidente Harris sostenendo di voler perseguire “il narcotraffico e gli immigrati illegali”  ma allo stesso tempo di non dover dimenticare di essere “una nazione di immigrati”. D’altronde, è emerso negli studi condotti da vari economisti come, per una nazione caratterizzata dal famoso “melting pot” come lo sono gli Stati Uniti, l’immigrazione regolare sia una risorsa fondamentale, in grado di ridurre il tasso di inflazione e stimolare la crescita economica. 


Una comunicazione mirata 

“Abbiamo di fronte una figura e il suo speculare, lo vediamo nelle differenze di linguaggio, di approccio ai problemi e di body language” questa la nota del professore e esperto Gianluca Pastori, nella terza data del festival, dopo aver ascoltato un breve estratto del dibattito tra Trump e Harris. L’atteggiamento dei due avversari è stato più volte messo sotto i riflettori dai giornali di tutto il mondo. Se prima dell’uscita di Biden dalla campagna elettorale, gli occhi erano puntati sulle problematiche psico-fisiche del candidato democratico, a seguito dell’endorsement del presidente a favore di Kamala, l’attenzione si è spostata su di lei e su l'esponente repubblicano. “Trump ha una comunicazione estremamente populista, le argomentazioni sono deboli e molto semplici. In campagna elettorale è troppo facile accusare un avversario del lavoro svolto”. Questa osservazione, messa in luce da un giovane durante il festival, lascia trasparire come le scelte dialettiche dei due siano costantemente modulate dall’elettorato verso il quale si rivolgono. L'intervento, in merito, dell’esperta Cristina Bon ha fatto capire questa netta segmentazione dell’elettorato, concentrandosi sui fattori del genere e del livello di istruzione: “Esiste un gap tra gli uomini bianchi non istruiti che votano in massa i repubblicani e le donne istruite, con almeno un college degree, schierate dalla parte di Harris, del 43%, mai raggiunto nemmeno nel 2016 ai tempi di Hillary Clinton”.


L’influenza dei social

Anche i social hanno influenzato sia le tecniche di interazione dei candidati con gli americani sia le scelte dell’elettorato. Proprio per questo, spesso, si guarda criticamente alle principali app di diffusione delle informazioni come una forma di giornalismo incontrollato e aperto alle fake news. Esplicativo in tal senso il commento del professor Marco Sioli: “la piattaforma social “X” è nelle mani di Elon Musk che supporta Trump e che gli lascia quindi pubblicare qualsiasi cosa, non c’è controllo”. Durante la campagna elettorale, infatti, abbiamo potuto vedere e commentare post insoliti, tra cui una foto di “Trump mentre prega con le mani congiunte a 6 dita”. Questo esempio fa capire come la qualità dell’informazione e la sicurezza delle fonti utilizzate dalle testate ufficiali debbano rimanere cardini a sostegno dell’opinione pubblica, soprattutto in una realtà dove l’intelligenza artificiale acquista sempre più terreno.

Eppure è da chiedersi, visti gli esiti di queste elezioni, se i social, o ancor più, i personaggi in vista sulla scena internet abbiano avuto davvero una qualche influenza sulle scelte dell’elettorato. Non solo Elon Musk, ma anche cantanti e attori come Beyoncé, Jennifer Lopez, Anne Hathaway e George Clooney, tutti sul campo delle storie Instagram per esprimere il proprio endorsement. La gran parte del mondo hollywoodiano che ha scelto di esporsi politicamente lo ha fatto a favore di Kamala, eppure i sondaggi hanno mostrato un testa a testa tra i due candidati fino all’ultimo e, alla fine, la vittoria è stata per i repubblicani.

Ecco quindi che forse il sostegno di celebrità e influencers si è rivelato controproducente, poiché rappresentano proprio quella minoranza americana privilegiata, lontana dai problemi dell’inflazione e dell’immigrazione di cui invece, paradossalmente, ha parlato molto il Tycoon miliardario.


“America alone?”

La rimarcata importanza dell’esito di queste elezioni a livello internazionale ha trovato ampio spazio di dialogo durante il festival. Se dal lato dei democratici, Harris si è dimostrata vicina a un multilateralismo classico, sostenendo il ruolo degli Stati Uniti nell’ambito della NATO, dalla parte di Trump si è percepito un ripiegamento degli Stati Uniti e la creazione di una “fortezza America” attraverso l’aumento delle spese di difesa. Queste due posizioni si collocano in modo chiaro nell’ambito dei due principali conflitti odierni: quello russo-ucraino e quello in Medio Oriente.  

 La discussione sorta in occasione del Caffè Politico ha consentito però di ragionare anche intorno alle politiche militari adottate negli ultimi tre anni dagli Stati Uniti. In riferimento al conflitto tra Russia e Ucraina si è commentato: “La politica di Biden di mandare poche armi alla volta in escalation e non mettere in chiaro subito che un attacco avrebbe significato una reazione violenza è stata sbagliata”. A seguire un coerente riferimento alle parole di Ronald Reagan: “pace attraverso la forza”, concetto analogo al brocardo latino “Si vis pacem, para bellum” (se vuoi la pace, prepara la guerra).

La domanda di oggi è dunque: e Trump? Come si comporterà di fronte a un panorama internazionale così bellicoso? In merito Gianluca Pastori ha dato un’interpretazione dell’espressione “America First”, più volte utilizzata dal futuro presidente: “l’impressione è che Trump promuova l’idea di “America Alone”, secondo cui tutto ciò che non è America è irrilevanza”.  Ritroviamo questa impronta anche nella visione di matrice protezionista di Trump verso l’economia cinese, da anni potenza indistruttibile che si sa però essere decisamente carente in tema di regolamentazione per l’ambiente e a tutela del lavoratore. Senza risposta certa, peraltro, rimangono domande inerenti a se l’intenzione di Trump sarebbe quella di tassare anche beni prodotti in Cina ma marchiati USA.

A questo punto, consapevoli del risultato elettorale, non resta che attendere gli svolgimenti successivi al 20 Gennaio 2025, data del giuramento da parte di Donald Trump al Campidoglio di Washington. Questo atto ha la funzione di siglare in modo solenne principi ben espressi dal giornalista americano Bret Stephens, poco prima delle elezioni, nei suoi inviti al futuro presidente, senza sapere ancora chi fosse: «Nonostante le richieste di "cambiamento", sappi che ciò che gli americani vogliono principalmente dalla Casa Bianca non è né una trasformazione sociale né chissà quale dramma: è competenza. Non aver paura, come non l’aveva Harry Truman, di circondarti di consiglieri più saggi ed esperti di te. Non essere riluttante, come non lo erano George Bush e Bill Clinton, a trovare un terreno comune con i tuoi oppositori politici. E tieni a mente la massima preferita di Reagan: "Non c'è limite a ciò che un uomo - o una donna, ndr - può fare se non gli importa a chi va il merito delle sue azioni».


Siria Santangelo


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