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PROVVEDIMENTI EMERGENZA COVID-19: COSTITUZIONE VIOLATA?

Aggiornamento: 2 apr 2023

Lo scorso 31 gennaio il Consiglio dei Ministri ha deliberato lo stato di emergenza nazionale per la durata di 180 giorni, a seguito della dichiarazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di emergenza internazionale di salute pubblica per il Covid-19.

Per approfondire la costituzionalità o meno dei provvedimenti attuati e dei relativi strumenti utilizzati, è utile ricordare alcuni importanti articoli della nostra Costituzione.

Il primo è l’articolo 16, il quale stabilisce la libertà di circolazione dei cittadini su territorio nazionale; facendo presente che vi possano essere limitazioni, generate da motivi di sanità e sicurezza pubblica.

Il secondo articolo è il numero 77, il quale stabilisce la possibilità per il Governo, “in casi straordinari di necessità e urgenza” (come quello attuale) di emanare decreti legge, vale a dire provvedimenti provvisori, da presentare il giorno stesso alle Camere per essere convertiti in legge entro 60 giorni.

Lo strumento che si è però scelto di utilizzare non è quello del decreto legge, bensì il tanto menzionato DPCM: Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Il DPCM si costituisce come atto amministrativo, che non ha forza di legge, ma ha il carattere di fonte normativa secondaria e serve per dare attuazione a norme o varare regolamenti. Il DPCM a differenza del decreto legge non deve quindi essere sottoposto a vaglio parlamentare.

Il Parlamento stesso ha approvato l’utilizzo di questa procedura, attraverso il decreto legge n.6 entrato in vigore il 23/02.

Abbiamo posto alcune domande ad ALESSANDRO MANGIA, professore ordinario di Diritto Costituzionale nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano; per fare chiarezza sulla costituzionalità dei processi messi in atto.


Professore, considerando il contenuto dell’articolo 16, possiamo considerare come assolutamente costituzionale il limite alla libertà di spostamento?

Le limitazioni che sono intervenute riguardano soltanto la libertà di circolazione. Ed è scritto nero su bianco nell’articolo 16 che la circolazione può essere limitata in soli due casi: sanità e sicurezza. Il 16 pone una “riserva relativa di legge”: la materia deve essere disciplinata dalla legge, ma la cornice legislativa può essere integrata dall’amministrazione con propri atti normativi.

Spesso si accusa falsamente il Governo di aver limitato libertà personali, forse perché non è chiara la distinzione tra libertà personale e libertà di circolazione.


Ci troviamo in una situazione particolare, di emergenza. Situazioni come queste sono normate dal Diritto Costituzionale?

La dottrina dell’emergenza o stato d’eccezione nasce con Santi Romano, dopo il terremoto di Messina del 1908. Da qui nasce la teoria della necessità come fonte del diritto. Non una fonte-atto come una legge, ma una fonte-fatto: sono fatti-eventi da cui discendono norme giuridiche.

La dottrina dell’emergenza nasce da fatti imprevisti e quindi, per definizione, imprevedibili. Il diritto, come tutte le scienze a mio avviso, non è una scienza esatta. E’ necessario quindi adottare strumenti flessibili per poter intervenire in queste situazioni.

La dottrina dello stato d’emergenza è normata nella nostra Costituzione in due articoli: il 77 sui decreti legge e un articolo 78, dimenticato da tutti, sui poteri di guerra. La distinzione sta nella maggiore o minore ampiezza di poteri riservata al Governo.

La disciplina generale dell’emergenza, un’emergenza che potremmo definire “ordinaria”, si gestisce con il 77 e presuppone un controllo costante e continuo del Parlamento nei confronti del Governo; tanto che nel 77 si scrive che le Camere, anche se sono sciolte, debbono riunirsi entro 5 giorni.

Il 78 stabilisce invece che in casi di guerra il Parlamento deve conferire al Governo i poteri necessari, estraniandosi dal controllo sul suo operato. In questo secondo caso lo Stato si contrae, diventa soltanto amministrazione, come è avvenuto DI FATTO in queste settimane: lo Stato si è concentrato solo su sanità e pubblica sicurezza.

In questo periodo quindi, anche se nessuno ha votato lo Stato di guerra, è come se ci trovassimo DI FATTO in un 78, poiché lo schema di rapporti tra Governo e Parlamento è quello tipico dello stato di guerra.


A chi è da imputare questa scelta? Non sarebbe stato meglio non arginare il confronto parlamentare?

Tutto ciò che è avvenuto è da imputare a decisioni della maggioranza in Parlamento, che ha deciso di assentarsi completamente. Vi è un rapporto fra maggioranza e Governo e la prima controlla anche l’Assemblea.

Il problema vero non è a livello di Governo: il Presidente Conte, risponde alla sua maggioranza; se questa avesse chiesto di essere interpellata e avesse ricevuto risposta negativa, avrebbe potuto sfiduciare il Presidente.

E’ una situazione, quella attuale, che ha un nome in diritto Costituzionale: mutamento costituzionale per mancato esercizio di funzioni. Il mancato esercizio delle funzioni parlamentari, ha cambiato la resa e il funzionamento istituzionale del sistema, rispetto al modello normativo disegnato in Costituzione.

Il Parlamento ha comunque i mezzi per intervenire sui contenuti del DPCM: attraverso atti d’indirizzo, risoluzioni; è la maggioranza presente ad aver scelto che il Parlamento non svolgesse il suo ruolo.


Ad emergenza finita, o comunque quando si saranno placate le acque, crede possibile che alcune decisioni prese in questo periodo arriveranno al vaglio della Corte?

I DPCM finiranno tutti, nessuno escluso, davanti ai giudici. Ma non in Corte Costituzionale o davanti al giudice amministrativo; bensì davanti a giudici civili di merito, ai quali verranno presentate moltissime cause da parte di imprese private fallite a seguito dell’obbligo di chiusura delle fabbriche. Queste impugneranno non solo i DPCM, ma anche i decreti delle singole regioni.

In secondo luogo le sanzioni date, soprattutto in fase 1, finiranno davanti ai giudici penali; se impugnate presuppongono una valutazione del giudice penale sulla legittimità dell’ordine dell’amministrazione a non circolare.


Art. 16. Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche [1201 , XIII2 ]. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge [354 ].


Art. 77. Il Governo non può, senza delegazione delle Camere [76], emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni [612 , 622 ]. I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.


Art. 78. Le Camere deliberano lo stato di guerra [879 ] e conferiscono al Governo i poteri necessari.


Informativa di Conte alla Camera del 30/04 (al minuto 44 spiegazione dell’utilizzo dei DPCM):


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