Il 7 febbraio del 2021 è stato un anno esatto dalla carcerazione di Patrick George Zaki: è dunque da più di 14 mesi che è sottoposto ad una detenzione che viene detta preventiva, ma che in realtà è a tutti gli effetti arbitraria e contro ogni diritto umano. Il giovane ricercatore, infatti, è stato arrestato con l'accusa di propaganda sovversiva: secondo il governo egiziano avrebbe pubblicato notizie false con l'intento di disturbare la pace sociale, avrebbe incitato proteste contro l'autorità pubblica e avrebbe sostenuto il rovesciamento dello stato egiziano; insomma tutte accuse che in Egitto sono all'ordine del giorno contro dissidenti e persone critiche verso il governo. Ma che cosa ha fatto veramente Patrick Zaki?
La sua colpa principale è quella di essere un attivista egiziano, da anni impegnato, insieme all'associazione Egyptian Iniziative for Personal Rights (EIPR), nella difesa dei diritti umani, in particolare delle minoranze oppresse, dei cristiani e dei membri della comunità LGBT, in un paese, però, dove vige l'intolleranza e la repressione. Nel 2019 il giovane ventisettenne riprende gli studi, che aveva lasciato per dedicarsi interamente all'attivismo, e si traferisce a Bologna per il programma Erasmus Mundus dell'Unione Europea, con il master in Studi di genere e sulle donne. A febbraio dell'anno successivo decide di tornare in Egitto per una breve vacanza presso la sua famiglia, ma, atterrato all'aeroporto del Cairo, la polizia lo arresta senza un apparente motivo e nelle successive 17 ore lo sottopone ad un lungo interrogatorio, a cui seguono minacce e torture. Sotto accusa anche alcuni suoi post di Facebook, che lo farebbero apparire incline alla violenza e al terrorismo; in realtà lui si è sempre dichiarato estraneo ai fatti, chiedendo pure di verificare l'autenticità delle pubblicazioni, ma non ha mai ottenuto risultati positivi. La detenzione preventiva di Zaki, infatti, è stata rinnovata di volta in volta di 45 giorni e così arriviamo ai giorni nostri, senza alcuna liberazione in vista. Probabilmente il Governo egiziano sta approfittando della sua legge draconiana, che consente fino a due anni di custodia cautelare, e per questo si nasconde dietro ad affermazioni come “i motivi della sua incarcerazione permangono sempre” o “le indagini perseguono ancora” per riconfermare sempre la sua reclusione. Una notizia positiva ci è arrivata qualche giorno fa dalla sua fidanzata, che gli ha fatto visita in carcere e ha avuto così il suo messaggio: “ancora resisto, grazie a tutti per il supporto”. Ma mentre Patrick Zaki sta facendo del suo meglio per continuare a lottare contro i suoi persecutori, che cosa si sta organizzando per restituirgli la libertà?
L'Italia ha già subito uno schiaffo morale nel caso di Giulio Regeni, che presentava una situazione non così dissimile da quella di cui parliamo qui e sulla quale ancora oggi non è stata fatta chiarezza, e sicuramente ciò la rende molto più combattiva nella lotta per la liberazione di Patrick Zaki, ma purtroppo non bastano le intenzioni, servono i fatti e l'ultimo fatto è la mozione sulla cittadinanza italiana all'attivista egiziano. Partita dal basso con una petizione online, approda poi in Parlamento attraverso due richieste diverse, l'una del senatore del Partito Democratico, Francesco Verducci, e l'altra della senatrice del Movimento Cinque Stelle, Michela Montevecchi, che sono poi confluite in un ordine del giorno unitario. Il Senato si è espresso favorevolmente sulla proposta, con 208 voti a favore, 33 astenuti e nessun contrario; la decisione dell'Assemblea impegna dunque le istituzioni, come da resoconto stenografico, ad avviare le necessarie verifiche per la concessione della cittadinanza, ad intraprendere ogni ulteriore iniziativa presso le autorità egiziane, per sollecitare l'immediata liberazione dello studente, valutando la possibilità di utilizzare gli strumenti previsti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, e a monitorare lo svolgimento delle udienze e le condizioni di detenzione di Zaki, con la presenza in aula della rappresentanza diplomatica italiana al Cairo. Ma la deliberazione, dalla valenza indubbiamente molto simbolica, ha anche un rilievo giuridico?
Innanzitutto bisogna specificare che nella mozione viene fatto un preciso riferimento alla legge n° 91 del 1992 che definisce i criteri per ottenere la cittadinanza italiana; un cittadino straniero la può acquisire se ha reso eminenti servizi all'Italia o quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato. In questo caso si ritiene che la drammatica condizione in cui versa Patrick Zaki e il regime di detenzione cui è sottoposto nel carcere di massima sicurezza di Tora, unitamente alle ripetute violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime egiziano, configurino il ricorrere di un eccezionale interesse del nostro Paese. Secondo i principali firmatari delle mozioni, concedergli la cittadinanza italiana, e dunque europea, costringerebbe anche l'UE ad assumersi le proprie responsabilità e a fare pressioni sul regime di Abdel Fattah al-Sisi, affinché si arrivi alla liberazione del ricercatore. Noti gli aspetti positivi, bisogna però illustrare anche le possibili implicazioni negative e, a tal proposito, sono degne di nota le parole della viceministra degli Esteri, Marina Sereni, la quale, pur esprimendo parere favorevole sulla mozione, invita a fare una valutazione approfondita del quadro in cui la concessione va ad inserirsi: si riconosce la portata ideale, simbolica e umanitaria del gesto ma la misura potrebbe essere priva di effetti pratici a tutela di Zaki, perché anche alla luce del diritto internazionale l'Italia incontrerebbe notevoli difficoltà a fornire protezione consolare. Inoltre essendo Zaki anche cittadino egiziano prevarrebbe la cittadinanza originaria, un principio applicato dall'Egitto in modo stringente. C'è il rischio di effetti negativi sull'obiettivo che più ci sta a cuore, cioè ottenere il rilascio di Zaki. La viceministra ha comunque assicurato che porterà avanti ogni possibile iniziativa, sia in modo bilaterale, attraverso l'ambasciata al Cairo, che multilaterale, in sede europea e ONU. In riferimento a queste sue ultime parole sarebbe interessante chiedersi come l'Italia debba porsi nei confronti dell'Egitto d'ora in poi, o più in generale come una democrazia può rivolgersi ad una dittatura, ma su questo punto vi rimando ad un altro articolo del Poligono “Esportare la democrazia: antitesi o realtà”, che approfondisce proprio questo tema (per chi lo volesse leggere metto il link in fondo alla pagina).
Analizzato dunque l'accaduto, possiamo trarre le nostre conclusioni. Il fatto che l'Italia abbia deciso di concedere la cittadinanza può essere, forse, indice di un fallimento della diplomazia, che non è riuscita a farsi valere attraverso altri mezzi? O, al contrario, va ritenuto solo come un grande gesto umanitario, per dare un segnale forte all'Egitto e alla Comunità Internazionale? Politics Hub lascia a voi lettori la risposta a questi quesiti e vi fornisce un ultimo spunto di riflessione: si può parlare di obbligo morale dell'Italia nei confronti di Patrick Zaki, per il fatto che quest'ultimo ha studiato nella nostra nazione per un programma di scambio culturale tra UE e Extra-UE? Sicuramente un legame si è creato anche solo per il fatto che l'attivista sta ora rischiando la vita pure per le sue ricerche su Giulio Regeni, ma il nostro auspicio è che quello che oggi chiamiamo “obbligo morale” un domani diventi un gesto spontaneo e naturale di tutti i Paesi, perché in fondo si tratta di diritti umani, che dunque ci dovrebbero spettare in quanto uomini e donne, e non in quanto cittadini italiani ed europei.
Giorgia Ponticiello
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