STRUTTURA AZIENDALE: DAL MODELLO PIRAMIDALE A QUELLO A RETE
Nel mezzo del secondo anno travolto dalla pandemia è interessante approfondire alcuni dei cambiamenti in corso nel mondo del lavoro. E’ sotto gli occhi di tutti come una delle dirette conseguenze sia stata il potenziamento della digitalizzazione e quindi dello smart working: necessità pressante all’inizio, divenuta poi spesso anche scelta di convenienza.
Una delle conseguenze più evidenti di quest’ultimo è la polverizzazione del lavoro aggregato nello stesso luogo, cosa che permette al dipendente di organizzarsi il proprio lavoro e di diventare in un certo qual modo “capo di se stesso”: resta un dipendente, ma acquisisce di fatto la mentalità di un libero professionista.
Il che porta a dei necessari cambiamenti del ruolo del manager in azienda, che non ha più il compito di sorvegliare direttamente il lavoro dei propri dipendenti, ma si deve focalizzare sull’organizzazione e la motivazione di persone che lavorano a distanza.
Cambiamento imprescindibile considerando che un’indagine condotta da Aidp (Associazione italiana dei direttori del personale) mostra come oltre il 68% del campione di aziende intervistate ha dichiarato che prolungherà, anche se non in modo esclusivo, le attività di smart working nell’era post Covid.
La figura del dirigente d’azienda è però da anni entrata in crisi. Possiamo dire che più in generale è dagli anni ’80 che assistiamo alla progressiva morte del modello piramidale, caratterizzato da carriere lineari dal basso verso l’alto. La struttura delle aziende si fa sempre meno a piramide e sempre più a rete.
Inoltre diminuendo il numero delle grandi imprese sul nostro territorio, a favore di quelle medio-piccole, i luoghi per lo sviluppo delle carriere si sono ridotti e si è passati dall’importanza della figura del manager a quella dell’imprenditore, dello startupper.
Sempre più assumono importanza le “competenze trasversali” a svantaggio della specializzazione, che favorisce un modo di muoversi in azienda in orizzontale e non più in verticale.
Per avere qualche dato di riferimento: i dirigenti dal 2008 al 2019 sono diminuiti del 3% e il turn over annuale degli stessi si aggira intorno al 12%, aumentano quindi i cosiddetti “manager a chiamata”.
PIATTAFORME ONLINE: HR 2.0
Un’ulteriore potenzialità favorita dalla digitalizzazione è il proliferare di piattaforme online che fungono da mediatori tra utenti in cerca di lavoro e coloro che hanno un’attività da offrire.
Si apre un problema immenso che riguarda la tutela di questi lavoratori, ancora non classificati sotto nessuna categoria preesistente, subordinati o freelance che siano.
L’Inapp stima i gig workers in Italia a 213 mila, di cui il 47% è diplomato, il 16% è laureato e il 39% sceglie questa attività come secondo lavoro.
Il 42% però lavora senza contratto ed il 56% si trova in area contrattuale grigia. Secondo l’Online Labour Index della Oxford University il lavoro gestito dalle piattaforme è aumentato nel 2018 del 74%.
Un progetto in via di sviluppo negli ultimi anni da parte della società Whitelibra è il Digital Work City, che consiste nello sviluppo di un’infrastruttura online che permetta di organizzare un determinato lavoro per progetti agevolando la collaborazione fra aziende e singoli lavoratori. La piattaforma assume le personalità più richieste e poi appalta i servizi. E’ l’algoritmo della piattaforma stessa ad indentificare la migliore combinazione tra persona e offerta sul mercato.
Questi cambiamenti, che vanno nella direzione di un incremento del lavoro agile e selezionato dalle piattaforme, portano con sé non poche problematiche a livello giuridico e qualche riflessione a livello morale.
L’utilizzo delle piattaforme online può avere effetti positivi nell’avvicinare utenti in cerca di lavoro alle offerte attive sul mercato e potenziare la collaborazione tra aziende.
C’è da chiedersi però quanto una piattaforma sia davvero in grado di selezionare il miglior candidato per il posto in questione e se l’annullamento del rapporto datore di lavoro-dipendente non possa avere alla lunga effetti negativi.
C’è da chiedersi anche se l’incremento di autonomia nella gestione del lavoro dei dipendenti in smart working abbia solo effetti positivi.
Si stima che adottare un livello “maturo” di smart working possa aumentare la produttività di ogni lavoratore del 15%, diminuire l’assenteismo ed i costi per l’affitto degli uffici di lavoro. Per quanto riguarda i benefici per il lavoratore diminuiscono anche i costi per gli spostamenti verso l’ufficio e dovrebbe agevolare il work-life balance.
Sul fronte opposto il lavoro da casa può però minare la socialità e disgregare un proficuo scambio di idee, possibile solo attraverso l’attività in presenza e in condivisione.
E come sappiamo spesso è proprio dalla condivisione di idee che scaturiscono innovazioni geniali.
Silvia Garbelli
Bibliografia e sitografia:
Sette - Corriere della Sera: sezione “economia” dei numeri del 09-04-21; 16-04-21; 30-04-21
https://www.ilsole24ore.com/art/lavoro-sono-213mila-gig-workers-italia-16percento-e-laureato-ACBHAqm
Commenti