Nelle ultime settimane il battito cardiaco della politica italiana ha conosciuto un’accelerazione frenetica a partire dallo strappo, che pareva definitivo, all’interno del governo Conte bis.
Dopo giorni sacrificati alla ricerca di un nuovo appoggio parlamentare, con metodi estremamente criticati e poche speranze di riuscita, la politica è stata colta impreparata dalla scelta del Quirinale di cambiare completamente il gioco chiedendo a Mario Draghi di formare un governo con una base più ampia possibile.
Da quel momento in poi, i partiti si sono ammansiti e le polemiche aspre dei mesi precedenti hanno conosciuto un notevole ridimensionamento.
Se il cambiamento è sotto gli occhi di tutti, dobbiamo anche comprendere in che misura ciò sia avvenuto e quali sono effettivamente le prospettive di un governo quanto mai inedito.
Innanzitutto, bisogna segnalare che il premier Mario Draghi ha deciso per un governo fortemente politico, con la partecipazione diretta di esponenti di primo piano delle forze della nuova maggioranza, forse per togliere qualsiasi alibi di eventuali misure giudicate impopolari (sicuramente il neopremier si ricorderà di un altro economista, Mario Monti, il quale andò incontro a un destino politico piuttosto spiacevole).
Alcuni si sarebbero aspettati un maggior turnover di ministri, soprattutto alcuni esplicitamente accusati di faglie non trascurabili nel sistema, a partire dal ministro della Salute Roberto Speranza (Leu).
D’altra parte, forse possiamo spingerci a dire che la caratura e l’autorevolezza del Presidente del Consiglio potrebbero far pensare a una sorta di “commissariamento” nascosto di quei ministeri più rilevanti, come gli Esteri, in cui il titolare Luigi di Maio occuperebbe solo formalmente la carica, mentre Draghi, estremamente conosciuto in ambiente europeo e oltre, potrebbe agilmente supplire nella sostanza.
Dall’altra parte, notiamo un numero di tecnici considerevole in posizioni chiave, a partire dall’istruzione con Bianchi, all’economia con Franco e alla giustizia con Cartabia.
È chiaro che non manchino le insidie a un governo che ha l’ambizione di contenere, con un patto duraturo, partiti considerati come agli antipodi quali Lega e Leu, o Forza Italia e M5S.
Non dimentichiamo nemmeno che Giorgia Meloni ha deciso di tirarsi fuori dai giochi, attendendo pazientemente l’inevitabile primo inciampo per capitalizzare gli eventuali scontenti da questo nuovo assetto.
Eppure, in Italia si ha come l’impressione che il cammino intrapreso dovrà portare a un cambio di rotta all’interno del mondo della politica, un cambiamento che è forse già in atto.
Innanzitutto, la virata europeista del più grande partito italiano, fino ad ora su posizioni ambigue, sembra essere destinata a permanere: ricordiamo che Mario Draghi, durante il suo discorso alle Camere, ha esplicitamente contraddetto Matteo Salvini, che solo poche ore prima aveva sostenuto che “solo la morte è irreversibile” e quindi un abbandono dell’euro non poteva essere completamente escluso. Nonostante ciò, la Lega, senza defezioni, ha votato compatto un governo “europeista e atlantista”.
In secondo luogo, la convivenza governativa di forze prima antitetiche potrebbe essere l’occasione di una scuola di rispetto reciproco, al fine di alleggerire la fino ad oggi plumbea atmosfera del dibattito italiano.
Notiamo che tutte queste aspettative e speranze che i media hanno recentemente posto sul capo di Mario Draghi, dipinto come l’uomo provvidenziale che può una volta per tutte risollevare il paese (che per altro non può essere certo tacciato di autocelebrazione), pone il neopremier in una posizione molto delicata.
Eppure, una verità sicuramente c’è in tutta la narrazione delle ultime settimane: la competenza sembra essere improvvisamente tornata di moda in una politica che l’aveva per molti anni schernita.
Non si sente più parlare di “professoroni da salotto” o di “uno vale l’altro”.
Mario Draghi è, a torto o a ragione, la figura di un’Italia medio-borghese che con lo studio, l’impegno all’estero e un profondo senso di serietà può portare nuova linfa a un paese esanime.
È vero, d’altra parte, che negli anni passati già altri leader sono stati presentati come possibili portatori di una svolta (che apparentemente non è però mai avvenuta): da Berlusconi, a Monti, a Renzi.
Eppure, Draghi parte con dei vantaggi non indifferenti: i fondi del NextGenerationEU da stanziare, una grande autorevolezza guadagnata dopo una lunga carriera all’estero e in Italia, e un sostegno ampio e attivo delle maggiori forze parlamentari.
Possiamo anche pensare che, se l’orizzonte è effettivamente il 2023, egli abbia comunque poco tempo per portare a termine tutti gli ambiziosi progetti presentati nel discorso programmatico, ma ricordiamo anche quanto fu fatto nei primissimi anni del secondo dopoguerra, quando appena un lustro cambiò l’Italia portandola a conoscere una crescita impressionante.
Per concludere, possiamo dire che gli auspici siano certamente favorevoli a questo esperimento governativo, a partire dal vistoso calo dello spread negli ultimi giorni.
Con il tempo, però, vedremo effettivamente se il governo si incaglierà nelle già note polemiche tra i partiti, o se il basso profilo imposto dal premier ai suoi colleghi già dal primo consiglio dei ministri sarà rispettato e permetterà a Draghi di rimanere alla guida del paese fino a nuove elezioni (politiche o, chissà mai, per la presidenza della Repubblica).
Edoardo Cozzi
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