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Lo scontro tra autocrazie e democrazie macchia di sangue l’Europa

Aggiornamento: 4 apr 2023

La guerra è scoppiata: quali sono gli interessi del presidente russo dietro questa mossa?

Il 17 dicembre 2021 il ministero degli esteri russo, sotto ordine del presidente Vladimir Putin, ha presentato un ultimatum a Stati Uniti e NATO esponendo quattro esorbitanti richieste: la prima imponeva l’esclusione perenne dell’Ucraina dalla NATO; la seconda lo smantellamento di tutte le basi e risorse militari presenti nei Paesi Baltici; la terza il ripristino dei confini che il Patto Atlantico aveva nel 1997; la quarta infine impediva esercitazioni militare congiunte in Ucraina, Georgia e Asia Centrale senza il consenso preventivo del governo russo. Di fronte a queste richieste inaccettabili la NATO, come era prevedibile, ha respinto l’ultimatum.

Nei mesi successivi abbiamo visto la peggiore escalation militare degli ultimi anni in Europa: all’alba del 24 febbraio 2022 le forze armate della Federazione Russa irrompono in Ucraina.


Per comprendere la mossa di Putin è necessario analizzare la situazione politica all’interno del suo paese e le richieste ufficiali che sono state rivolte all’occidente. Queste si concentrano, come accennato in precedenza, sulla demilitarizzazione occidentale negli stati ex-satelliti dell’URSS; ma questo pretesto non è evidentemente l’unico movente di un delitto internazionale di una tale portata. Non è una coincidenza che ad ogni crisi di popolarità del presidente russo sia stato approvato un intervento militare territorialmente aggressivo verso nazioni ex sovietiche: lo abbiamo visto nel 2008 con il conflitto in Georgia, e successivamente nel 2014 con l’annessione della Crimea ed il finanziamento dei separatisti nelle province ucraine di Luhansk e Donetsk.


Lo “Tsar”, infatti, come è stato soprannominato all’inizio del suo primo mandato nel 2000, ha progressivamente mostrato sempre più la sua inclinazione imperialista e la sua concezione ideologicamente isolazionista del mondo russo. Rispetto alla presenza di basi NATO lungo i propri confini appare quindi, agli occhi di Putin, molto più pericolosa l’espansione della cultura occidentale, democratica, che ha frammentato negli ultimi trent’anni la concezione unitaria delle nazioni ex-sovietiche. Abbiamo visto il culmine icastico di questa sua concezione del Russkij mir, il mondo russo, lunedì 21 con il suo discorso alla nazione, pochi giorni prima dell’invasione. Abbiamo davanti un presidente più in fermento del solito, animato da una inconsueta violenza retorica contro l’identità culturale ucraina, che definisce una invenzione degli anni ‘90, una semplice entità geografica priva di una individualità storica, che si sarebbe separata dalla madre patria a causa della corruzione dei propri governanti, pagati dagli occidentali. Questo è naturalmente un falso storico. Kyiv nacque come snodo commerciale per il traffico vichingo di schiavi diversi secoli prima dello sviluppo urbano di Mosca. Quei vichinghi chiamavano sé stessi “rus”. Alla fine del 600 Kyiv si schierò con il Granducato di Mosca, che aveva attuato una prodigiosa campagna di conquista verso occidente e ad oriente fino al Pacifico. Per corroborare questa alleanza i religiosi di Kyiv di inizio 700 raccontarono che le due regioni erano anticamente unite: questa credenza si evolse al punto che nel 1721 il Granducato di Mosca prese il nome di Impero Russo, in riferimento all’antica Rus, il regno dei signori di Kyiv. Nella narrazione degli storici nazionalisti russi dell’Ottocento non si considerano affatto i 700 anni di indipendenza di Kyiv, mentre l’attuale Russia era sotto l’influenza dell’Impero mongolo occidentale.

Russia e Ucraina sono profondamente legate, attraverso l’Unione Sovietica, così come nella religione ortodossa e nella formazione dell’antico Impero Russo, ma la narrativa di Putin tralascia fondamentali differenze storiche che hanno caratterizzato le due culture dalla loro nascita. L’Ucraina e la sua storia sono profondamente correlate allo sviluppo degli stati nazionali europei, l’espansione di Polonia e Lituania e la Riforma Protestante del rinascimento. Diverse dinamiche tipicamente europee sono quindi alla base della costituzione dell’identità ucraina, dinamiche che si sono sviluppate in modo radicalmente diverso nei territori russi, anticamente molto più legati all’Asia.


Dietro alle azioni di una nazione si celano dunque gli interessi di un uomo disposto a pagare qualsiasi prezzo pur di mantenere consolidato il proprio potere e l’egemonia della propria oligarchia.


È improbabile che Putin miri ad un’annessione totale dell’Ucraina, data anche l’indole combattiva e indisposta alla resa del popolo ucraino. Con la consapevolezza che l’esercito nazionale ucraino è nettamente più debole di quello avversario, lo stesso presidente Zelens’kyj ha chiamato i cittadini a prendere le armi, aprendo alla prospettiva di una guerriglia che potrebbe costare troppo a Putin, il quale prevedeva una efficace blitzkrieg ed una rapida resa Ucraina.

Tuttavia il popolo ucraino non è il solo ad opporsi a quest’operazione; a seguito dell’invasione di giovedì in Piazza Rossa si sono verificate massicce manifestazioni contro la guerra, e conseguentemente migliaia di arresti. Questo è un altro segno della crisi di popolarità di Putin nel suo paese, dove una parte del popolo invoca un’evoluzione democratica della struttura politica. L’avvelenamento nell’anno scorso di Aleksej Naval’nyj, principale oppositore di Putin, dimostra il timore che l’oligarchia reggente ha dell’ideologia filo-occidentale.

Dal resto del mondo democratico la Russia ha ricevuto critiche unanimi, finendo anche per rinforzare l’alleanza atlantica. L’Unione Europea aveva già approvato un pacchetto di sanzioni lunedì, senza però riuscire nel tentativo di fermare i piani del governo russo. Joe Biden ha invece ordinato, conseguentemente all’invasione, un finanziamento di 600 milioni di dollari in armamenti all’Ucraina. Le tenui misure che gli stati occidentali hanno preso contro questa operazione dimostrano però anche i limiti delle nostre democrazie. Di fronte al rischio di una guerra globale, catalizzato dall’imprevedibilità di Putin e del suo “arsenale di deterrenza nucleare”, l’Occidente si ritrova momentaneamente impossibilitato ad intervenire militarmente. Le sanzioni economiche hanno in ogni caso molti limiti, date le conseguenze inevitabili sulle stesse economie degli stati europei, che dipendono energicamente in gran parte dalla Russia.


L’ONU ha convocato per l’undicesima volta nella storia l’Assemblea generale dei suoi stati membri. Presto si traccerà una vera e propria mappa che dividerà il mondo in sostenitori e oppositori di iniziative simili a quella russa.


Questo conflitto non è solo uno scontro tra nazioni, ma è anche il campo di battaglia su cui si scontrano le pretese nostalgiche delle autarchie ed i piani costruttivi delle democrazie. Non ci troviamo più davanti ai due distinti blocchi della Guerra Fredda, ma ad alleanze tra i totalitarismi, con mire espansionistiche, e all’allarmante condizione di molte democrazie finite nel mirino degli oppressori.


Paolo Zurlo

Giulia Tirinnanzi

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