Gli ultimi giorni hanno visto riaccendersi il dibattito su un tema da sempre divisivo per la politica italiana e non solo: la legalizzazione delle droghe leggere. Complice è il governo Draghi che, dopo aver affidato la delega per le politiche anti-droga alla ministra pentastellata Dadone, nota per le sue posizioni antiproibizioniste, ha portato avanti la discussione della proposta di legge per la depenalizzazione delle droghe leggere per uso personale e terapeutico, presentata il 2 dicembre scorso da alcuni deputati (PDL 2813 (camera.it)). I malumori nella maggioranza di governo sono stati veicolati da Enrico Letta, che in una riunione interna al PD ha affermato che una riflessione attenta sul ruolo del governo, soprattutto rispetto all’uso della cannabis a scopo ricreativo, è quanto mai necessaria.
Gli effetti della cannabis
Che il consumo di droghe leggere sia largamente diffuso, e che sia aumentato ancor di più nella fase pandemica, è un dato di cui prendere atto. Tra le sostanze che creano dipendenza la marijuana è collocata al terzo posto, dopo alcol e tabacco, con una prevalenza di consumo tra i 14 e i 25 anni, fascia d’età su cui, tra l’altro, ha anche le conseguenze più gravi: se, infatti, gli effetti legati alla singola esperienza di consumo sono validi per tutti, per gli adolescenti è più facile lo sviluppo di dipendenza, e l’uso ripetuto e prolungato della sostanza, andando ad impattare su un sistema cerebrale ancora in via di formazione, può causare alterazioni permanenti della struttura neuronale. Dunque, per quanto gli effetti non siano comparabili a quelli delle droghe pesanti, e per quanto abbia effettivamente delle possibili applicazioni terapeutiche, i problemi legati al consumo di cannabis non sono da sottovalutare, né in termini di salute e qualità di vita del singolo individuo, né in termini di impatto sulla società (a livello di spese per gli interventi sociosanitari, di mancati guadagni, di incidenti automobilistici e operazioni di polizia).
Occorre precisare, a tal proposito, che gli effetti sulla salute determinati dal consumo di alcol e marijuana presentano molte analogie: simili sono il meccanismo d’azione delle due sostanze e le spese derivanti dai problemi inerenti la dipendenza. Se il primo è concesso e il secondo no, è dunque prettamente per una questione storica e culturale, tant’è che nei Paesi orientali l’utilizzo e la concezione degli stessi sono rovesciati.
Perciò, fermo restando la nocività del consumo della cannabis e la consapevolezza che il governo dovrebbe agire in vista del bene collettivo, è importante interrogarsi su come lo stato dovrebbe affrontare la questione, anche a fronte del numero sempre maggiore di stati nel mondo che sta imboccando la via della legalizzazione.
Quali sono i principali argomenti a favore e contrari?
Secondo i sostenitori, la legalizzazione non sarebbe altro che una presa in carico da parte dello Stato di un mercato già esistente e che non sembra destinato ad esaurirsi. La presenza di leggi che regolino l’uso, la produzione e la vendita al dettaglio di cannabis consentirebbe in primis il controllo del prodotto stesso: questo lo renderebbe più sicuro e diminuirebbe il rischio di contaminazione con sostanze di natura e provenienza ignote, spesso molto più dannose della marijuana in sé. (A tal fine si potrebbe pensare anche a una soluzione alternativa, adottata ad esempio in Olanda, ovvero l’istituzione di appositi laboratori, gestiti dal governo, che analizzino le sostanze ed informino su eventuali anomalie). In secondo luogo, una legislazione antiproibizionista permetterebbe al governo di sottrarre il monopolio di questo mercato dalle mani di organizzazioni criminali e mafiose, con un duplice vantaggio: maggiori entrate nelle casse statali e maggiore sicurezza per i consumatori, che non entrerebbero in contatto con il mondo della criminalità. In aggiunta, la legalizzazione ridurrebbe le spese, non indifferenti, per le operazioni di repressione dello spaccio, e anche il numero dei detenuti per possesso o piccoli traffici di droghe leggere. Il fatto che il mercato sia attualmente gestito da organizzazioni non statali è, del resto, uno dei maggiori ostacoli alla legalizzazione stessa, ma le difficoltà che ne conseguirebbero non devono interferire con la valutazione dei pro e contro di tale scelta.
Tuttavia, a fronte dell’aumento del gettito fiscale statale derivante dalla legalizzazione, bisogna considerare che l’immagine della nazione potrebbe risultarne intaccata, e questa è una delle tante preoccupazioni degli oppositori. Si potrebbe considerare l’idea di negare la possibilità di consumo agli stranieri, onde evitare di trasformare la vendita di marijuana in un’attrattiva turistica, come accade in altri Paesi europei. Altro grande motivo di perplessità riguardo la legalizzazione è la possibilità che, eliminato l’effetto dissuasivo dato dai divieti, la popolazione inizi ad utilizzare le droghe leggere più facilmente.
La legalizzazione aumenterebbe il consumo?
Le ricerche effettuate nei Paesi che hanno già approvato la legalizzazione non offrono purtroppo risposte univoche, essendo passati troppi pochi anni per avere campionari di studio sufficientemente affidabili.
Che una politica di proibizionismo non sia funzionale alla riduzione dei consumi è suggerito invece da un episodio storico. Nel Settecento c’era in Inghilterra un forte problema di alcolismo, soprattutto inerente l’uso del gin. Ad arginare il fenomeno non sono stati i provvedimenti proibitivi, bensì il Gin Act del 1751, che proponeva la legalizzazione del gin, ma da un lato ne rendeva sconveniente la vendita, autorizzandone il commercio solo a prezzi molto elevati, dall’altro incoraggiava il consumo di bevande alternative, quali tè e birra. Legalizzare vendita e consumo di marijuana tassandole fortemente potrebbe, dunque, rappresentare una valida ipotesi, anche se naturalmente risulterebbe complesso identificare un prezzo di vendita intermedio, che possa contemporaneamente far fronte alla concorrenza del mercato illecito e scoraggiare l’utilizzo da parte dei consumatori.
Un altro aspetto da tenere in considerazione è l’impatto psicologico di tale scelta: legalizzare significa in qualche modo rendere socialmente accettato l’uso delle droghe leggere, e magari potrebbe indurre a provarle tutte quelle persone su cui il paternalismo statale finora ha avuto un effetto inibitorio. Il largo consumo che in Italia si fa dell’alcol induce, infatti, a pensare che se l’uso di una sostanza è consentito dallo Stato, la percezione della sua pericolosità automaticamente diminuisce. Perciò, se si approvasse la legalizzazione, sarebbe auspicabile (ed effettivamente è stato proposto nella legge di dicembre) destinare parte degli introiti che ne deriverebbero per portare avanti vigorose campagne di sensibilizzazione anti-droga, per quanto potrebbe risultare un paradosso agli occhi dei più ferventi proibizionisti, poiché nulla vieterebbe di destinare fondi a questo scopo, anche senza la legalizzazione.
La legalizzazione delle droghe leggere favorirebbe il passaggio all’uso di droghe pesanti?
Anche su questo le opinioni sono discordanti. Il fatto che in Oregon siano state legalizzate anche le droghe pesanti potrebbe suggerire che questo primo passo potrebbe aprire la strada a provvedimenti sempre più liberali. D’altra parte, c’è chi sostiene che la legalizzazione potrebbe ridurre il consumo di droghe più pesanti in quanto i consumatori non entrerebbero più in contatto con venditori incentivati a proporre prodotti nuovi.
Il dibattito è sicuramente molto complesso, e qualsiasi scelta venga effettuata non sarebbe priva di pro e contro. Sarà interessante scoprire come proseguirà il dibattito politico nel nostro Paese, e, forse ancor di più, vedere a quale delle due parti in gioco daranno più ragione gli studi che saranno fatti in futuro sull'andamento dei consumi delle droghe leggere in seguito alla legalizzazione.
Noemi Felisi
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