Il contesto
L’economia argentina ha subito una pesante crisi economica tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del 2000. Le criticità, tuttavia, vedono la propria origine ben prima dell’avvento di questo decennio. Negli anni precedenti al 1990, in Argentina si sono insediati governi di stampo autoritario alternati a fragili governi democratici. Il periodo tra il 1976 e il 1983 è stato quello del noto Processo di riorganizzazione nazionale, con cui si intende la dittatura militare che ha governato in quegli anni. La politica economica intrapresa in tale periodo è stata di ispirazione neoliberista. Non a caso, un obiettivo ricercato e raggiunto è stato quello di privatizzare le imprese nazionali, che in seguito sono state vendute a stranieri. L’effetto risultante più di rilievo di tali misure è stata la crescita del valore nominale del debito estero e dell’inflazione negli anni successivi alla caduta dei governi dittatoriali.
Menem e Cavallo: la legge di convertibilità
Il 1983 è stato l’anno del ritorno alla democrazia con il governo del presidente Raúl Alfonsín. Durante tale reggenza l’inflazione ha toccato picchi molto elevati e i salari reali sono significativamente diminuiti. Il malcontento popolare ha spinto Alfonsín alle dimissioni anzitempo ed è stato eletto presidente Carlos Saúl Menem. Insieme al ministro dell’economia Domingo Cavallo è stato dato il via ad alcune misure di contrasto all’inflazione, stabilità valutaria, abbattimento delle barriere commerciali e privatizzazione delle imprese. Notoria è stata l’introduzione della cosiddetta Ley de Convertibilidad, provvedimento con cui è stato creato un sistema di cambio fisso tra il peso argentino e il dollaro degli Stati Uniti. Con questa legge si è cercato di incentivare l’utilizzo della moneta nazionale argentina, spesso evitata nei periodi fortemente inflazionistici. È pacifico che per garantire la convertibilità, la Banca Centrale Argentina avrebbe dovuto possedere riserve in dollari statunitensi pari alle quantità di pesos argentini in circolazione. La Legge di Convertibilità ha prodotto parte degli effetti sperati: l’inflazione è diminuita, e i prezzi e la valuta hanno raggiunto una certa stabilità. Tuttavia, l’aspetto non trascurabile è che questo tasso di cambio fisso ha reso per l’Argentina decisamente più convenienti le importazioni piuttosto che le esportazioni dei suoi prodotti. Ciò non ha fatto altro che favorire una significativa fuoriuscita di capitali dallo Stato argentino verso l’estero, pertanto si è registrato un elevato deficit nella bilancia commerciale argentina. L’aspetto forse più problematico è relativo all’ingente debito pubblico argentino collocato all’estero in costante crescita, mentre l’Argentina – viste le criticità del sistema di cambio fisso – non era mai sembrata in grado di ripagarlo. Sono stati questi gli anni in cui il Fondo Monetario Internazionale ha elargito prestiti e concesso dilazioni nei pagamenti al Paese latino.
L’avvento della crisi
Nel 1999 viene eletto presidente Fernando de la Rúa, che ha retto un’Argentina in recessione e dall’economia in stagnazione. Si è sempre optato per una politica economica restrittiva ed è stato mantenuto il sistema di cambio fisso. La situazione è presto degenerata: la popolazione ha ritirato ingenti somme di pesos dagli sportelli bancari, li ha convertiti in dollari e ha generato una fuga di capitali verso l’estero. Il governo di Buenos Aires ha varato una contromisura a questo fenomeno per limitare i prelievi e ciò ha prodotto una serie di proteste e disordini. Alla luce dell’accaduto, verso la fine del 2001, il FMI ha comunicato all’Argentina che avrebbe cessato di concederle prestiti. Il debito argentino tocca livelli mai raggiunti, arrivando a raggiungere circa il 50% del PIL alla fine del 2001 e il Paese dichiara il default.
Dopo un terremoto politico, il nuovo governo di Eduardo Duhalde all’inizio del 2002 ha eliminato ufficialmente la parità 1:1 peso-dollaro. L’obiettivo ricercato era quello di svalutare il peso argentino per rendere più convenienti le esportazioni di prodotti argentini per gli acquirenti esteri. È stato poi intrapreso il progetto della “pesificazione”, misura con cui tutti i conti correnti degli argentini denominati in dollari statunitensi sono stati forzatamente e totalmente convertiti in pesos, secondo il nuovo tasso di cambio ufficiale, scatenando le proteste di parecchi risparmiatori. A seguito di queste e altre misure, è aumentata l’inflazione, è cresciuto il livello di disoccupazione e molte industrie sono fallite. Tali aspetti hanno sancito un rilevante peggioramento della qualità della vita media della popolazione.
La ripresa
La situazione di grave crisi ha cominciato ad attenuarsi con il successivo governo di Néstor Kirchner, eletto nel 2003. Con una politica economica antitetica rispetto alle passate, l’Argentina ha cominciato a vivere una situazione di ripresa e di riacquisizione di credibilità internazionale. È stata questa la fase in cui il peso si è gradualmente rivalutato e lo Stato ha potuto ripagare – almeno in parte – l’elevato debito pubblico accumulato in passato.
Michele Zarif
Sitografia e fonti
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