Il Presidente del Consiglio Mario Draghi durante il suo discorso per la fiducia in Senato ha evidenziato le sfide che il nostro paese dovrà affrontare nei prossimi anni, tra queste ci sono: digitalizzazione, energia, aerospazio, cloud computing, biodiversità, lotta al riscaldamento globale e all’effetto serra. Per far avanzare l’Italia in questi campi sono necessarie figure professionali in grado di occuparsi di ricerca, ed è qui che entrano in gioco le STEM.
I corsi di laurea STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) sono in continua espansione e molti dei titoli di studio che ne derivano sono sempre più richiesti dal mercato del lavoro e garantiscono un alto grado di occupazione ai neolaureati. Tuttavia spesso i datori di lavoro faticano a reperire profili di questo genere; in particolare, secondo l’Osservatorio Fondazione Deloitte le figure professionali più introvabili sarebbero gli ingegneri meccanici, dell’informazione e dell’automazione.
D’altra parte però, nell’area della ricerca di queste discipline, i ricercatori faticano ad ottenere fondi ed essere sovvenzionati per i loro studi: questo porta ad un forte squilibrio, infatti le nostre università sono in grado di formare grandi professionisti, ma i soldi investiti nell’istruzione non tornano indietro perché la prospettiva di un lavoro precario e mal retribuito porta al ben noto fenomeno della “fuga dei cervelli”; questo si verifica soprattutto nella ricerca di base, lontana dall’utilizzatore finale, che potrebbe portare grandi risultati ma in tempi più lunghi rispetto alla ricerca applicata e per questo è poco sovvenzionata.
L’iscrizione alle lauree STEM è in aumento (+0,3% annuo nell’ultimo decennio), ma uno dei principali problemi legati ad essa è il forte gender gap che le caratterizza: questo fenomeno, come evidenzia uno studio condotto da Microsoft non è solo italiano, bensì europeo. Quali sono i fattori alla base di questo fenomeno? Ne ho parlato con Tiziana Alberio, neurobiologa, ricercatrice e professoressa all’Università degli Studi dell’Insubria che si occupa anche di un progetto per indirizzare le ragazze verso le STEM.
Le ragazze non sono interessate alla scienza?
Il calo di interesse nei confronti delle materie scientifiche avviene intorno ai tredici anni: questo è causato soprattutto da una tendenza delle giovani donne a preferire studi con un risvolto pratico, che però non è supportato dalla scuola italiana; mancano i laboratori, le risorse e il personale adatto per permettere esperienze di questo tipo. È proprio in questa fascia d’età che bisogna agire maggiormente, intervenendo nelle scuole e proponendo dei modelli di studiose e scienziate che hanno raggiunto importanti traguardi nei loro campi.
Le donne faticano a raggiungere i ruoli apicali, soprattutto nei campi dell’università e della ricerca.
Il divario uomo-donna nella ricerca scientifica è ancora molto forte: solo il 36% dei ricercatori in Italia è donna, mentre le docenti universitarie sono 38 su 100 (Miur, 2019).
Tuttavia, Assolombarda evidenzia che, prendendo come campione di riferimento quello dei corsi di Laurea Magistrali del gruppo di Ingegneria, pur notandosi degli squilibri, essi sono di portata nettamente minore: il voto di laurea è di poco più elevato per le ragazze rispetto ai ragazzi e il 50% delle donne completa gli studi in corso, contro meno del 48% degli uomini, ma queste migliori performance accademiche sembrano non essere riconosciute dal mercato del lavoro; ad un anno dalla laurea, il tasso di occupazione degli uomini laureati è leggermente più elevato di quello delle donne, ma i numeri sono decisamente più contenuti (91,8% degli uomini occupati contro l’89,3% delle donne).
Quanto è grande ancora il divario tra donne e uomini nelle STEM?
In Italia, solo uno studente STEM su quattro è donna, e la percentuale scende ulteriormente nelle facoltà maggiormente in linea con i profili emergenti richiesti dal mondo professionale.
Tuttavia, facendo un confronto con i principali paesi europei, si nota come l’Italia in termini di gender gap sia ben posizionata, essendo il 4° paese europeo con la più alta percentuale di donne laureate in materie STEM sul totale dei percorsi.
Gli atenei italiani si stanno impegnando concretamente a colmare questo divario nelle iscrizioni: il Politecnico di Milano ogni anno propone un bilancio di genere per analizzare i dati e le tendenze all’interno dell’università, le nuove misure adottate e il loro impatto sulla demografia dell’ateneo, non solo per quanto riguarda gli studenti, ma anche il corpo docenti e il personale tecnico-amministrativo mentre l’Università degli Studi dell’Insubria attraverso il progetto “Alta Formazione Insubria” ha offerto spazi e personale ad alcuni licei del territorio per permettere agli studenti di fare ore di laboratorio. Inoltre sono molte le iniziative per avvicinare le donne alle STEM; ne è un esempio “StemintheCity”, un’iniziativa del comune di Milano che in questi giorni sta proponendo conferenze e webinar sull’argomento. Questo dimostra un impegno a lungo termine e la volontà di trovare soluzioni concrete ad un problema complesso.
In conclusione, questo problema non è esclusivamente legato parità di genere e di uguali opportunità, ma influisce anche sulla nostra economia a livello di sistema-paese, e ne soffrono la ricerca italiana, che non riesce ad attrarre capitale umano, come le aziende private che non hanno la possibilità di sfruttare abilità nuove e differenti.
Irene Beonio Brocchieri
FONTI
- Assolombarda Osservatorio Talents Venture e STEAMiamoci sul Gender Gap nelle facoltà STEM edizione 2020 https://www.assolombarda.it/media/comunicati-stampa/osservatorio-talents-venture-e-steamiamoci
- Osservatorio Fondazione Deloitte RigenerationSTEM
- Bilancio di genere (2020) Politecnico di Milano https://diversityandinclusion.polimi.it/report/
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