Il 2020 è stato l’anno più proficuo di sempre per il gigante americano Amazon, tuttavia, negli USA le tensioni tra l’azienda ed i dipendenti desiderosi di un sindacato si fanno sempre più incalzanti.
La pandemia di Covid 19 ha colpito il mercato mondiale senza avvertimenti, affondando piccole e medie imprese, e portando sull’orlo dell’abisso tutte le attività che per guadagnare richiedono inevitabilmente un assembramento di persone.
Con i primi lockdown del marzo scorso, l’acquisto online di beni di prima necessità, come carta igienica e candeggina, ha subito una improvvisa impennata, portando l'utenza di Amazon ad un picco storico. Il colosso delle vendite sul web divenne così, soprattutto negli USA, un rifornitore abituale di milioni di persone che prima della pandemia lo utilizzavano solo in rari casi.
Mentre i commercianti al dettaglio erano costretti a chiudere a causa del coronavirus, Amazon spingeva la distribuzione nei magazzini ai massimi storici, arrivando ad assumere, tra gennaio e ottobre 2020, oltre 427.300 nuovi dipendenti in tutto il mondo. Questa corsa al personale, causata dalla immensa richiesta del mercato nei primi mesi dello scorso anno, premiò le finanze dell’azienda con un altro record: l’ultimo trimestre venne concluso con un fatturato di 125,56 miliardi di dollari, il più alto di sempre.
All’aumentare della crisi sanitaria negli Stati Uniti, migliaia di disoccupati si sono trovati senza alternative se non lavorare per Amazon, che assumeva senza sosta i cosiddetti “pickers”, gli addetti ai prelievi di merci. Tuttavia, con l’incremento di richiesta produttiva dovuta alle nuove e improvvise quarantene, aumentò anche lo sforzo produttivo dei dipendenti, molti dei quali lamentavano il sopruso da parte dei dirigenti, che ponevano condizioni di lavoro disumane combinate ad un salario medio relativamente basso.
Nei mesi successivi, l’assenza di una entità unitaria che rappresentasse i lavoratori di Amazon ha reso evidente l’inconsistenza della loro stessa autorità, rendendo vana ogni iniziativa riformista dei singoli dipendenti.
Il Covid, che negli USA è stato percepito come minaccia concreta varie settimane in ritardo rispetto a noi europei, ha portato però nelle stesse aziende di Bezos un disagio lavorativo mai raggiunto fino ad allora. Le ore a casa per malattia non venivano retribuite, e la continua assunzione di nuovi dipendenti poneva coloro che erano incapacitati a lavorare, dal covid o dall’esagerato sforzo fisico, ad essere licenziati immediatamente, poiché potevano essere subito rimpiazzati.
All’interno delle filiali Amazon, vi sono le cosiddette AmCare, ossia dei piccoli pronto soccorsi interni alle aziende, necessari per gli infortuni improvvisi. Per quanto sia positiva la presenza di queste infermerie, esse simboleggiano una caratteristica dei magazzini alquanto preoccupante, ossia un rischio sul lavoro particolarmente elevato. Nel 2012 vennero aperte da Washington 301 indagini federali contro Amazon per infortuni sul lavoro, mentre solo lo scorso anno, una inchiesta del sito Reveal ha esaminato oltre 150 stabilimenti statunitensi di Amazon, constatando che il tasso di infortuni all’interno di essi supera di quattro volte la media nazionale americana.
Se negli scorsi anni la volontà di un sindacato per i lavoratori di Amazon non era particolarmente diffusa, perchè anche minata dal timore di un licenziamento o difficoltà lavorative, in questi recenti mesi la pandemia ha sovvertito violentemente il sentimento comune dei dipendenti. All’interno della stessa azienda, il malcontento degli operai e la richiesta di rappresentanza sono così radicati, che la dirigenza ha ritenuto necessario creare degli appositi corsi di aggiornamento per disincentivare e scoraggiare la creazione di un sindacato. Una vera e propria propaganda anti sindacale è stata perpetrata dalla dirigenza fra i suoi stessi dipendenti, arrivando a far affiggere nei bagni dei lavoratori dei volantini con la scritta “Vota No”, in riferimento alle votazioni fra impiegati per la creazione della Union.
C’è però una differenza sostanziale fra i sindacati europei e quelli americani: se nel vecchio continente il sindacato rappresenta una intera categoria di impiegati, a prescindere dal loro datore di lavoro, negli Stati Uniti esso rappresenta solo gli operai di una certa azienda, perciò gli impiegati di una multinazionale particolarmente grande, come in questo caso, devono da soli ottenere la maggioranza per la creazione di una propria Union. In Europa inoltre l’apparato manageriale è profondamente diverso da quello americano, infatti le attenzioni all’igiene e alla salute dei dipendenti soprattutto nel periodo di pandemia hanno seguito le politiche nazionali, quindi differenziate anche dall’atteggiamento dei singoli stati nei confronti del coronavirus.
Per quanto, in un contesto Europeo, la presenza territoriale di Amazon, e l’influenza di un sindacato che rappresenti i suoi dipendenti, possa sembrare marginale, vi sono diverse zone degli Stati Uniti dove l’azienda detiene il monopolio economico di intere contee.
Ne è esempio la zona dell’Inland Empire Californiano, ad est di Los Angeles, con oltre 45.000 dipendenti nelle due contee di San Bernardino e Riverside. In questa zona l’industria di Bezos non è solo la distributrice di prodotti acquistabili online, essa costruisce dal 2017, in collaborazione con Lennar, una delle più grandi aziende edili nordamericane, migliaia di smart homes, ossia case dotate di Alexa e altri dispositivi da loro fabbricati incorporati. Amazon è anche un canale Tv, possiede diversi catene di alimentari, fornisce la rete internet, i sistemi di sicurezza domestica, raccolta dati e ha anche fatto costruire una scuola superiore.
L’influenza della azienda nella zona chiaramente non si limita alla sfera lavorativa, ma si estende a moltissimi aspetti della vita dei suoi dipendenti, raggiungendo addirittura l’educazione dei figli, che, in diverse scuole della zona, hanno la possibilità di partecipare a corsi di formazione di robotica, logistica e gestione aziendale, proposti alle scuole per indirizzare gli studenti ad un futuro impiego in Amazon.
Il 21 Aprile 2020, l’insoddisfazione dei pickers, dovuta principalmente ai turni lavorativi insostenibili e alle norme anti-Covid molto precarie nei loro stessi complessi produttivi, sfociò in un primo sciopero generalizzato negli stati di New York, Illinois e Michigan.
A novembre i dipendenti del BHM1, un magazzino di Bessemer, nei pressi di Birmingham, Alabama, avevano fatto richiesta di una votazione sindacale al National Labor Relations Board, l’organo federale per il rispetto dei diritti dei lavoratori, e hanno presto raggiunto abbastanza firme per l’approvazione statale.
Nonostante gli sforzi notevoli della dirigenza per fermare l’organizzazione sindacale dei suoi dipendenti, proprio in questi giorni, 6000 dipendenti di Bessemer stanno votando per posta per la creazione effettiva del primo in assoluto sindacato dei lavoratori di Amazon.
Diversi personaggi influenti di marcato schieramento socialista, come Bernie Sanders, stanno sostenendo sui social la campagna di sindacalizzazione dei lavoratori dell’Alabama. Per migliaia di dipendenti americani in condizioni lavorative pessime, questa sarebbe la prima svolta, in un decennio di costante crescita aziendale, in cui verrebbero rappresentati ufficialmente da un organo unito riservato alle loro richieste.
Da una parte 6000 semplici operai e dall’altra l’azienda più ricca della storia, può sembrare solo l’utopia di qualche vecchio socialista, ma questa unificazione sindacale potrebbe davvero sdoganare tutti gli altri dipendenti di Amazon negli Stati Uniti, fino ad ora troppo insicuri da unirsi. Gli sforzi per fermare la sindacalizzazione dimostrano quanto una organizzazione che raccolga il consenso di centinaia di migliaia di operai, capace di stabilire scioperi e manifestazioni, spaventi le teste di Amazon. Nei prossimi giorni sarà noto l’esito di questa prima tappa, fino ad allora possiamo solo ipotizzare il peso effettivo di questa votazione.
Paolo Zurlo
Sitografia:
Opmerkingen