Il ministero dell'Università ha pubblicato i punteggi dei test per entrare nelle facoltà di Medicina che si sono svolti lo scorso 6 settembre. I risultati sono desolanti: gli iscritti di quest'anno erano 65.378 (di cui solo 56.775 si sono effettivamente presentati alla prova) contro i 63.972 dello scorso anno (quando parteciparono in 55.117) e sono risultati idonei 28.793 partecipanti contro i 38.715 dello scorso anno. La metà degli studenti non ha raggiunto nemmeno il punteggio minimo per entrare in graduatoria, nonostante fosse più basso di 3.5 punti di quello richiesto lo scorso anno. Come mai questo boom di bocciati? Forse a rendere più ostico il superamento della prova è stata l'importante modifica del test di accesso, che quest'anno ha voluto dare più spazio alle materie disciplinari a scapito della logica e della cultura generale, ma non va neanche dimenticato che chi ha provato il test veniva da due anni di DAD.
Di fronte a questo quadro sconfortante una domanda sorge spontanea: ha davvero senso imporre un test così selettivo per entrare a medicina, quando l'emergenza sanitaria, che abbiamo affrontato negli ultimi tempi, ci ha ampiamente dimostrato che abbiamo un grande bisogno di medici? Per rispondere alla domanda partiamo anzitutto dall'origine storica del numero chiuso, infatti non tutti sanno che fino al 1923 la facoltà in questione era accessibile solo a chi vantasse un diploma di maturità classica; poi, a partire da quell'anno, venne aperta anche a chi avesse frequentato il liceo scientifico. Solo nel 1969 fu aperta la possibilità di accedere a tutti i diplomati; questo, però, portò ad un numero maggiore di medici rispetto alla reale richiesta di personale, provocando un aumento considerevole della disoccupazione. Così, nel 1987, con decreto ministeriale, venne introdotto il test d'ingresso per quasi tutte le materie scientifiche, allo scopo di evitare il sovraffollamento delle strutture e di garantire un certo standard qualitativo per l'istruzione universitaria, come richiesto anche da due direttive dell'Unione Europea. Si tratta dunque certamente di una misura ragionevole in rapporto a quella specifica esigenza storica. Eppure, adesso le necessità sembrerebbero altre: perché allora non facilitare l'entrata degli studenti? Se è vero che adesso non vi sarebbe più un problema di eccesso di medici, è vero anche che rimane il problema della disponibilità degli Atenei ad accogliere e formare un numero così elevato di studenti: infatti, i posti disponibili quest'anno, a fronte di 56.775 partecipanti, erano appena 15.876 (che comunque, rispetto ai 9.000 di qualche anno fa ci mostrano che un impegno effettivo da parte delle autorità c'è stato). Allora che senso avrebbe facilitare l'ingresso senza poter garantire un'adeguata preparazione di tutti gli aspiranti medici?
Le criticità sul come è strutturato il test d'ingresso sono davvero tante: c'è chi lamenta l'irrisorietà di un test a crocette e la sua incapacità di dimostrare l'effettiva competenza dello studente; c'è chi si chiede il senso di un test così selettivo a soggetti che vengono da scuole superiori molto diverse tra loro e che, nella maggioranza dei casi, hanno ancora poca esperienza in materie quali biologia, chimica, fisica e matematica; c'è chi propone piuttosto di valutare l'aspirante sulla base di criteri che tengano in maggior considerazione il voto di maturità e i voti nelle materie coinvolte; ci sono altri che guardano con invidia le esperienze estere con test molto più semplici del nostro (come nel caso dell'Albania o della Spagna) o addirittura senza alcun tipo di test (come nel caso della Romania) e si chiedono il perché ciò non sia attuabile in Italia.
Ma di tutto questo cosa ne pensa la ministra dell'Università e della Ricerca? Maria Cristina Messa non è d'accordo sull'apertura del test di medicina, però si rende conto di quanto possa essere inadeguato il cosiddetto concorsone a valutare una volta per tutte il candidato: per questo ha decretato la sua fine. L'idea della ministra è quella di associare il nuovo test all'orientamento, cioè di fare un percorso unico, attraverso dei test somministrati negli ultimi anni del percorso scolastico, più volte, fino a quattro tentativi, per far capire ai ragazzi se quella è la loro strada. Sostenuti i vari test, potranno scegliere quello con il punteggio migliore, che andrà a formare le graduatorie. Per il 2023, salvo nuovi stravolgimenti governativi (si ricordi infatti che ogni decreto può essere modificato dal Governo successivo), è dunque previsto l'arrivo del cosiddetto Tolc (Test Online Cisia) di medicina. Quelle sul come esso sarà strutturato sono ancora solo delle ipotesi, l'augurio è che sempre più studenti volenterosi e competenti arrivino ad entrare e a laurearsi in medicina, qualunque sia lo strumento che si sceglierà di adottare per perseguire questo fine.
Giorgia Ponticiello
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