Dopo settimane di bombardamenti attorno all’impianto nucleare di Zaporizhzhia in Ucraina, l’ Agenzia internazionale per l'energia atomica si è mossa per un’ispezione del luogo. Le accuse di bombardamenti al sito rimbalzano da una fazione all’altra, costituendo un rischio per entrambi i paesi ed il mondo intero.
Il 1 settembre, dopo un lungo periodo di bombardamenti senza nome nelle zone che circondano la più grande centrale nucleare europea, è giunto il momento per le Nazioni Unite di procedere con un’ispezione.
La centrale nucleare di Zaporizhzhia, nel sud-est dell’Ucraina, è sottoposta al controllo delle forze russe dal 4 marzo di quest’anno. Si tratta dell’impianto nucleare più grande d’Europa, il nono al mondo: costruito tra il 1948 e il 1995, è in grado di alimentare 4 milioni di abitazioni, producendo un quinto dell’energia elettrica del paese. Il personale che garantisce il funzionamento dell’impianto è interamente ucraino, sottoposto, secondo fonti interne, al controllo di truppe russe.
Questa situazione estremamente tesa non fa altro che complicare l’attribuzione delle responsabilità per i bombardamenti che stanno allarmando la popolazione mondiale in queste settimane. Come si è pronunciato lo stesso Presidente ucraino Volodymyr Zelensky in una videoconferenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu: “la Russia ha portato il mondo sull’orlo di una catastrofe nucleare”.
Il sentimento di timore e tensione è tangibile, considerando che un bombardamento diretto alla centrale potrebbe provocare contaminazioni radioattive su larga scala, arrivando nel peggiore dei casi ad avere una portata assai maggiore dei disastri di Chernobyl e Fukushima.
Tuttavia nella frase pronunciata dal presidente è evidente l’accusa nei confronti della Russia per quanto riguarda i bombardamenti a Enerhodar; i Russi eppure si sono schierati completamente contro questa dichiarazione, rilanciando l’accusa nei confronti degli ucraini.
Tenendo conto di questa situazione, solo in questi ultimi giorni è stata resa possibile un’ispezione, dopo numerosi impedimenti, la cui responsabilità è come sempre rimbalzata da una fazione all’altra. L’ Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), con a capo il direttore generale Rafael Grossi, il 1 settembre è riuscita a fatica ad entrare nella centrale nucleare, con un ritardo di ben tre ore a causa degli scontri che non si sono fermati neanche in questa occasione.
Il direttore Grossi ha lasciato la centrale alle 18 del giorno stesso, descrivendo la situazione come “molto complessa e preoccupante”, dato l’aumento delle operazioni militari nella zona. Per questo motivo ha lasciato una squadra dell’Aiea a sorvegliare ed ispezionare l’impianto per altri due giorni, nei quali un altro scambio di accuse si è verificato a seguito dello spegnimento di uno dei reattori nucleari. Il rifornimento di energia ai territori controllati dall’Ucraina è stato difatti negli scorsi giorni interrotto attraverso lo spegnimento del reattore 5, ed anche in questo caso la responsabilità della disconnessione è stata attribuita prima ad una e poi all’altra controparte. Secondo Energoatom, l’azienda di stato ucraina che si occupa delle centrali nucleari del paese, il reattore si è spento automaticamente a seguito di un attacco da parte delle forze armate russe; al contrario stando alle parole del capo dell’amministrazione russa a Zaporizhzhia, Volodymyr Rogov, e a quanto riportato dalla Tass, i bombardamenti sarebbero stati compiuti da mano ucraina.
Come hanno testimoniato i tecnici dell’Aiea, lasciati a controllare l’operatività della centrale, l’impianto nel momento del distacco del reattore ha continuato a garantire l’energia ai territori ucraini solo grazie a una linea secondaria.
I danni che un bombardamento diretto porterebbe alla centrale sarebbero, come già accennato, estremamente disastrosi sia per la Russia che per l’Ucraina; dunque la domanda sorge spontanea: perché continuare, limitandosi a sottolineare la gravità delle conseguenze ed accusare ciascuno il proprio nemico?
Le ipotesi vertono sull’obiettivo da parte della prima di dimostrare l’importanza di continuare l’operazione militare; alcuni suppongono che tutto ciò abbia anche lo scopo di fare della minaccia di una catastrofe nucleare una fonte di paura per l’occidente al punto da indebolire la volontà di quest’ultimo di supportare l’Ucraina militarmente.
Eppure quanto da vicino ci sentiamo toccati da questa situazione? Quanto realmente quest’obiettivo di terrorismo psicologico sull’occidente sta vedendo i propri frutti? Vivere sull’orlo di una “catastrofe nucleare” è spesso e volentieri oggetto delle notizie di queste ultime settimane, ma è necessario interrogarci riguardo quanto questo abbia concreto effetto nella nostra quotidianità.
Giulia Tirinnanzi
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