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Addis Abeba trova lo sbocco sul Mar Rosso

"Chi ha il dominio del mare, ha il dominio di tutto," sosteneva Temistocle, una massima che trova risonanza nelle attuali dinamiche globali e soprattutto nel Mar Rosso.


Con la sua posizione strategica, il Mar Rosso è un crocevia di interessi globali ed un nodo cruciale per il collegamento tra l'Occidente e l'Oriente, fungendo da ponte tra il Mediterraneo e l'Oceano Indiano grazie ai suoi due choke points, il Canale di Suez e lo stretto di Bab el-Mandeb. Questa via navigabile è al centro dell'attenzione mediatica a causa degli attacchi degli Houthi alle navi degli alleati di Israele, ma c'è una crisi diplomatica a cui si dovrebbe prestare più attenzione e che rischia di sfociare in un nuovo conflitto, quello tra Somalia ed Etiopia.


Il 1º gennaio 2024 si è aperta una crisi diplomatica a causa della firma di un Memorandum d'Intesa tra l'Etiopia di Abiy Ahmed ed il Somaliland di Muse Bihi Abdi. Questa intesa concederebbe all'Etiopia l'accesso vitale al Mar Rosso attraverso il porto di Berbera, in cambio del tanto atteso riconoscimento ufficiale del Somaliland.


Il Somaliland, uno stato de facto indipendente ma non riconosciuto a livello internazionale, ha una storia complessa risalente al 1960. Dopo un breve periodo di unione con l'Amministrazione fiduciaria italiana della Somalia, dichiarò la propria indipendenza nel 1991, portando a un isolamento diplomatico. Fino al 1993 l’Etiopia poteva contare sui porti di Massaua e di Assab ma, dopo la guerra con l’Eritrea, conclusasi con la proclamazione della sua indipendenza, ne ha perso l’accesso. Questo spiega la dipendenza di Addis Abeba dal porto di Gibuti, responsabile dell'85% delle esportazioni ed importazioni etiopi. Lo scorso ottobre lo stesso premier etiope, vincitore del Nobel per la pace per il riappacificamento con Asmara, ha rischiato di riaccendere la miccia della tensione per aver sottolineato il diritto naturale dell’Etiopia ad avere uno sbocco sul Mar Rosso, e la volontà di ottenerlo, sia per vie diplomatiche che militari. La via percorsa dall'amministrazione etiope sembra essere quella diplomatica, si è scelto un memorandum, ma non manca la consapevolezza di possibili risvolti militari.


La reazione del Corno d’Africa all’accordo è stata tutt'altro che positiva: la Somalia  lo considera  nullo ed una grave violazione della sua sovranità, per cui ha richiamato il proprio ambasciatore in Etiopia e ha cercato il sostegno internazionale, ottenendo il supporto dell'Unione Europea e del presidente egiziano El-Sisi; la stessa Lega Araba si è riunita in un incontro online il 17 gennaio e ha richiamato l’Etiopia, sottolineando il suo appoggio alla sovranità somala. Mogadiscio teme una possibile cooperazione militare tra le due parti del Memorandum, soprattutto alla luce del fatto che la memoria per l’occupazione etiope subita tra 2006-2009 è ancora fresca. Sorprendentemente, pochi giorni prima dell'accordo, la Somalia aveva mostrato segni di riavvicinamento al Somaliland, indicando la volontà di riaprire il dialogo dopo anni di stallo, progetto ormai sfumato.


L'Etiopia, con le sue ambizioni imperiali, affronta sfide interne, tensioni regionali e problemi finanziari. L'accesso al porto di Berbera le offrirebbe una prospettiva per rivitalizzare l'economia e per consolidarsi come tassello fondamentale nella Nuova Via della Seta cinese, che vede in Addis Abeba un partner favorito.


Per il Somaliland, il Memorandum è la via per superare l'isolamento a cui è confinato dal 1991 e per ottenere maggior rilevanza internazionale. Questa crisi diplomatica, tuttavia, si inserisce nella trama ancora più complessa della competizione tra Washington e Pechino. Occorre notare che l’unico attore ad aver riconosciuto la sovranità del Somaliland prima di Addis Abeba è stato Taiwan; le relazioni tra Taipei e Hargheisa hanno preso avvio nel 2009, e si sono consolidate con l'apertura di sedi diplomatiche nel 2020. Questa “solidarietà” tra stati non riconosciuti  ha irritato Pechino sia per la violazione della sua One China Policy, sia per i suoi interessi nel Corno d’Africa; dal 2017 Pechino ha aperto la sua base navale a Gibuti, fondamentale per la sua posizione sul Mar Rosso e la sua vicinanza al Canale di Suez.


La Cina, con la sua dottrina basata sulla stabilità, mira a proteggere i suoi interessi in Africa e si posiziona come mediatrice tra Occidente ed Oriente nel campo minato in cui si è trasformato il Mar Rosso. La sua crescente presenza sul suolo africano, insieme a quella di attori recenti come la Turchia, crea una trama complessa di interessi e rivalità.


Occorre osservare che il Memorandum di per sé non è un documento giuridicamente vincolante, ma l’intesa tra Etiopia e Somaliland è un fattore critico per la stabilità regionale; ci sono tutti i presupposti per un nuovo conflitto armato, in quanto né Addis Abeba né Mogadiscio sembrano avere l’intenzione di fare dietrofront. Una crisi militare porterebbe al coinvolgimento, almeno indiretto, sia della Cina, che ha troppi interessi di carattere economico e strategico in Etiopia, sia di altri attori; difficilmente si può pensare ad un coinvolgimento militare diretto, in quanto generalmente Beijing predilige il ruolo della mediatrice ed ha grande interesse nel spegnere la tensione il prima possibile.

In un contesto globale sempre più complesso, le acque del Mar Rosso continuano ad essere teatro di sfide e di opportunità che plasmano il futuro del Corno d'Africa e del mondo.


Hilina Belayeneh


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