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Abbiamo un problema coi titoli di giornale

Aggiornamento: 2 apr 2023

“Ubriache fradicie al party in spiaggia, due 15enni violentate dall’amichetto”: l’ultimo di tanti titoli che negli ultimi anni hanno provocato indignazione e critiche, formulate da diversi personaggi politici e non sui social media. Il problema, per quanto possa sembrare poco rilevante, è di una certa importanza : i titoli, infatti, sono la parte dell’articolo che lascia il maggior impatto sul lettore, e spesso quella che viene ricordata meglio. Inoltre, con l’avvento dello smartphone e di servizi come Twitter, Google News, Microsoft News, ecc., sempre più lettori non si spingono oltre le prime righe di un articolo: così il titolo diventa la quasi totale conoscenza del fatto per una buona fetta di pubblico. Capendo la sua importanza, molti sui social media hanno cercato di contrastare questo fenomeno attaccando i responsabili e invocando il rispetto dell’etica e deontologia giornalistica: spesso, però, si fa così ignorando le radici più profonde del problema. Così questo ricompare puntualmente, senza che noi sappiamo il perché.


I tentativi di spiegare questa dinamica non sono certamente mancati. Al momento le ipotesi più gettonate sono due: una afferma che la comparsa di così tanti titoli inappropriati sia dovuta alla crisi sperimentata dal settore, che avrebbe portato i giornalisti a cercare più insistentemente l’attenzione del pubblico; l’altra invece vorrebbe spiegare il fenomeno con il sostegno da parte dei giornalisti a delle letture della società discriminatorie o datate. Per quanto queste teorie possano spiegare in parte il fenomeno, credo che la sua causa prima vada cercata nella rivoluzione che ha colpito il giornalismo negli ultimi decenni.


Prima dell’avvento di internet, il modo in cui l’informazione arrivava al grande pubblico era abbastanza lineare: il giornalista conosceva un fatto attraverso una fonte, ne valutava la notiziabilità, e, se lo riteneva degno, lo rendeva notizia e lo consegnava al grande pubblico. La stampa all’epoca aveva la funzione di fornire ai cittadini i fatti necessari per compiere scelte informate, perché questi non potevano ottenerli in altro modo. L’avvento dei social media ha ribaltato questo sistema: da allora il pubblico può entrare in diretto contatto con le fonti, togliendo ai giornali l’esclusiva come mezzo d’informazione; inoltre l’arrivo di giornalisti freelance che sfruttano la tecnologia blog ha contribuito a ridimensionare il ruolo delle testate all’interno del business dell'informazione. Se a questo si aggiunge il declino delle vendite cartacee e il ridimensionamento generale dell'industria, è facile capire che si è di fronte alla peggiore crisi della stampa occidentale degli ultimi anni. Molte testate nel mondo hanno chiuso i battenti, molte sono sull’orlo del fallimento: alle rimanenti è affidato il compito di riscoprire il ruolo del giornalismo nel nuovo ecosistema comunicativo. Ben presto però anche l’informazione diffusa dalle piattaforme web ha iniziato a mostrare le sue debolezze: il pubblico viene bombardato da una quantità ingestibile di notizie, portando la qualità dell’informazione a diminuire sempre più, e le fake news sono aumentate esponenzialmente, al punto da diventare un fattore decisivo in alcune scelte politiche. Tutto ciò ha portato a un’immensa confusione per i lettori, che faticano a trovare una chiave di lettura per il mondo che hanno intorno. A queste mancanze ha cercato di porre rimedio un nuovo tipo di giornalismo, la cui missione è dare al lettore una costruzione di senso della realtà attraverso un’attenta selezione e valutazione delle notizie.


Questa novità ha portato con sé molti altri cambiamenti, i più importanti dei quali riguardano la relazione del giornalista con le fonti, con i concorrenti e col pubblico. Proprio con quest’ultimo si è verificato un fenomeno nuovo che è determinante per spiegare il problema odierno coi titoli: l’identificazione tra la testata giornalistica e i suoi lettori. Quando la funzione del giornalismo si è trasformata nel creare una costruzione di senso della realtà per il proprio pubblico, è cambiato anche la qualità principale che vendeva il giornale: se prima lo si sceglieva per la qualità dell’informazione, la capacità di svelare scoop e scandali o per dei personaggi presenti nella redazione, ora la scelta si riduce quasi esclusivamente alla visione del mondo costruita dai suoi redattori. I lettori difficilmente daranno la propria attenzione e i propri soldi a chi cerca di smentirli; piuttosto andranno da chi permetterà loro di approfondire e validare la visione del mondo che già hanno. Il titolo, per via delle sue caratteristiche, è diventato il mezzo prediletto per accogliere l’interpretazione di un fatto di cronaca: la sua memorabilità, unita al suo posto in primo piano sia nei giornali cartacei sia in quelli online e televisivi, permettono al lettore di ricevere la conferma di ciò in cui crede nel minor tempo possibile. E, in un mondo dominato dall’immediatezza dei social media, quest’ultimo aspetto si rivela importantissimo per il pubblico, che non ha bisogno di “sprecare” minuti su ciascuna storia per ottenere ciò che desidera. Quasi tutte le interpretazioni della società possibili trovano posto nei vari giornali, e spesso giornali diversi offrono diverse sfumature di una stessa interpretazione.Considerato ciò è facile capire come sia impossibile evitare che alcuni titoli vadano oltre e urtino la sensibilità del grande pubblico, che trova offensivo un certo tipo di linguaggio che rimarca (o sembra rimarcare) visioni discriminatorie della società. Se a questo si aggiungono gli occasionali “scivoloni”, praticamente inevitabili per una redazione, si arriva a capire come il fenomeno si sia ampliato negli ultimi tempi.


Se sei arrivato fino a qui ti starai chiedendo come si può risolvere il problema. Purtroppo essendo questo frutto di un giornalismo che si è dovuto adattare ai tempi che cambiano, una sua facile soluzione non esiste: il cambiamento è ormai irreversibile e, per quante sanzioni l’Ordine dei Giornalisti possa fare, non è possibile impedire l’occasionale comparsa di titoli del genere. Quello che invece puoi fare è limitare i danni per chi viene a contatto con dei titoli problematici. Se possibile, cerca di risalire a un articolo di un’agenzia stampa (ANSA, Reuters, Associated Press, ecc.) o comunque a un articolo più imparziale. Se poi conosci in prima persona qualcuno che si è imbattuto in titoli o articoli inappropriati o offensivi, condividi con lui quanto hai trovato prima, in modo che la sua conoscenza del fatto non sia compromessa. Con ogni probabilità questo non risolverà definitivamente il problema, e molti continueranno ad affidarsi alle testate che usano questi titoli discutibili. Tuttavia far rivivere la sete di verità in noi e in chi ci circonda non può che portare benefici, sia a noi stessi sia alla società. La ricerca dei fatti dietro ai titoli e la volontà di indagare più a fondo quanto leggiamo: forse sono questi gli unici modi in cui si può correggere questo difetto del giornalismo moderno.

Mathias Caccia


 

Fonti:

  • “Manuale di giornalismo” di Alessandro Barbano in collaborazione con Vincenzo Sassu

  • Rimini News “Ubriache fradicie al party in spiaggia, due 15enni violentate dall’amichetto” titolo poi rimosso di un articolo su un episodio di presunto stupro pubblicato l’8 luglio 2020

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