Domenica 23 maggio 2021, poco dopo le ore 12:30, si è verificato un grave incidente sulla funivia che collega Stresa con il monte Mottarone: un cavo si è spezzato a cento metri dalla vetta, il sistema di sicurezza non è entrato in funzione e una cabina è precipitata per 15-20 metri, rotolando poi verso valle per ulteriori decine, fino a schiantarsi contro alcuni alberi. A bordo del mezzo vi erano 15 persone, tra queste solo due bambini sono sopravvissuti allo schianto e sono stati portati al Regina Margherita di Torino in condizioni gravissime; nel tardo pomeriggio il bilancio dei morti si è aggravato, salendo a 14: uno dei due ricoverati non ce l'ha fatta. Unico superstite della tragedia è il piccolo Eitan, di soli 5 anni, ad oggi cosciente ma ancora in rianimazione; appena sveglio ha visto un volto familiare, quello della zia, ma ciò non gli ha impedito di chiedere “dove sono mamma e papà?”.
Le domande del bambino non sono, però, le uniche che necessitano di una risposta immediata, tutti vogliono sapere come sia stato possibile il verificarsi di una simile disgrazia: perché quella fune si è spezzata e perché non si è attivato il sistema di sicurezza? È stato rilevato che il cavo che si è spezzato era stato revisionato poche settimane prima e non aveva dato segnali di pericolo. Qualcuno ha ipotizzato una lacerazione non visibile ad occhio umano operata dai fulmini nella notte precedente la tragedia, ma non è questo il vero dilemma: infatti, come rileva Marco Gabusi, assessore ai Trasporti della regione Piemonte, è sempre possibile che il cavo si rompa, non è possibile, però, che il doppio sistema frenante non si azioni. E allora perché questa presunta impossibilità si è invece concretizzata, causando la perdita di 14 vite umane?
A risponderne, in un primo momento in stato di fermo nel carcere di Verbania, sono stati Luigi Nerini, proprietario delle Ferrovie del Mottarone, il direttore di esercizio Enrico Perocchio e il capo servizio Gabriele Tadini. Quest'ultimo in occasione dell'interrogatorio degli inquirenti, ha dichiarato: «L’impianto idraulico dei freni di emergenza aveva dei problemi, perdeva olio, le batterie si scaricavano continuamente. Dopo la riapertura del 26 aprile avevamo fatto due interventi ma non erano stati risolutivi: la funivia funzionava a singhiozzo. Tenere i freni scollegati permetteva alla funivia di girare, mai potevamo immaginare che la cima si spezzasse. Era in buone condizioni, non presentava segni di usura. Ciò che è successo è un incidente che non capita neanche una volta su un milione». Insomma il capo servizio ha ammesso di aver preso la scelta di mettere i forchettoni, cioè degli elementi in metallo che tengono aperte le ganasce dei freni, impedendo la frenata d'emergenza, e che, proprio per questo motivo, dovrebbero essere tolti quando vi sono persone a bordo; ma purtroppo questa regola di sicurezza non è stata rispettata in questo triste caso. Tadini ha affermato inoltre che l'ingegner Perocchio e il direttore di esercizio Nerini erano a conoscenza di tutto ciò, ma, secondo i magistrati, avallavano la questione e non si attivavano per consentire i necessari interventi di manutenzione, che avrebbero richiesto il fermo dell'impianto, con ripercussioni di carattere economico. Le accuse sono molto pesanti, perché si presuppone una deliberata volontà di eludere gli indispensabili sistemi di sicurezza dell'impianto di trasporto per ragioni economiche e soprattuto a scapito e in assoluto spregio dell'incolumità dei passeggeri.
Nerini e Perocchio si sono però dichiarati estranei alla scelta di bloccare i freni e il gip (giudice per le indagini preliminari) ha valutato che non ci sono indizi sufficienti di colpevolezza sui due ritenendo non credibili sufficientemente le dichiarazioni di Gabriele Tadini. Si è dunque deciso di rimettere in libertà il gestore e il direttore d'esercizio della funivia e di mettere invece ai domiciliari il capo d'esercizio; ma chiaramente la Procura lavora ancora sul caso, cercando prove maggiori e ipotizzando, in particolare, alterazioni degli atti pubblici e falsificazioni degli atti sulla sicurezza, in cui sarebbero coinvolti anche i due rilasciati. Nerini, per gli inquirenti, è operativamente e quotidianamente coinvolto nelle operazioni di funzionamento e ha un interesse a forzare le procedure di sicurezza per non perdere gli incassi già quasi azzerati dal Covid; anche Perocchio, secondo loro, era assolutamente consapevole delle anomalie che il sistema frenante presentava da tempo, come sapeva che erano necessari interventi più radicali.
Se il Procuratore Olimpia Bossi e il Pubblico Ministero Laura Carrera hanno ragione, 14 persone sono morte per una scelta sconsiderata dei responsabili dell'impianto. Sono chiare le dinamiche: da oltre un mese la funivia segnala anomalie, si chiama la manutenzione ma quella non risolve, la cabina continua a fermarsi all'improvviso perché scatta il freno di emergenza. E allora bisogna attivare un procedimento un po' cavilloso: fermare l'impianto, salire per sbloccare la cabina e poi ritrascinarla in stazione. "Troppo tempo perso, che diverrebbe ancora maggiore se si pensasse addirittura ad una revisione globale della funivia; oggi non ce lo si può permettere perché la priorità è quella di riaprire!" Il principio che ci muove in questo preciso momento storico è quello del prima la riapertura, tutto il resto viene in secondo piano. “In fondo il freno d'emergenza serve quando una fune si spezza, ma perché mai dovrebbe spezzarsi? È un'eventualità che non si verifica mai." Allora chiaro che, dati i presupposti, l'idea migliore è quella di aggirare il problema: inserire i forchettoni, così la cabina non si ferma più a metà strada e si può continuare a guadagnare, tanto che può succedere?
Sembrerebbe un tipico ragionamento di costo-opportunità, concetto economico che spiega come un consumatore razionale di fronte a due possibilità valuti quale delle due presenti i benefici maggiori e/o i danni minori, peccato però che in questo caso l'alternativa a cui si sceglie deliberatamente di rinunciare non ha a che fare con un mercato di beni, ma con delle vite umane, ed è proprio questo ciò che addolora maggiormente gli animi di tutti coloro che in questo momento stanno piangendo le vittime: quelle persone sono morte perché alla loro incolumità è stata anteposta una logica monetaria. Ovviamente è assolutamente comprensibile che i gestori puntino alla ripresa subitanea delle molteplici attività, specialmente in rapporto alla crisi in cui il Paese riversa, però come si può pensare di farlo senza le dovute misure di sicurezza? È questa la domanda che ciascuno dovrebbe porsi, nella speranza che la risposta non sia dettata da un desiderio di guadagno ma da una sincera volontà di continuare il proprio lavoro in completa sicurezza. Ormai non si può tornare indietro per togliere quei forchettoni, ma sicuramente si può rendere omaggio a quelle persone, ricordandosi sempre che i soldi sono stati fatti per le persone e non le persone per i soldi.
Giorgia Ponticiello
https://www.fanpage.it/attualita/cosa-e-successo-nei-14-secondi-della-tragedia-delmottarone-la-cabina-sussulta-e-torna-indietro/
https://www.corriere.it/cronache/21_maggio_23/funivia-mottarone-precipita-almeno-4- vittime-e9ee665a-bbb8-11eb-822f-b2d049d46202.shtml https://www.leggo.it/italia/cronache/mottarone_funivia_tadini_manovratore_pentito_ultime _notizie-5988420.html https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Strage-Mottarone-Fermati-davanti-al-gipudienza-di-convalida-eef5df86-5cef-4af8-b39a-e912668e72fe.html?refresh_ce
Forse non è solo un problema di "dio denaro". Forse c'è da riscoprire un'etica della responsabilità e del "fare bene il proprio lavoro", in tutte le occasioni (soprattutto quando le conseguenze possono essere fatali, ovviamente).
È interessante, a questo proposito, la riflessione di Francesco Costa: https://www.francescocosta.net/2021/05/27/magari-fosse-solo-avidita/
Sarebbe altrettanto interessante discutere (prendendo spunto da questo caso) di giustizia e di esposizione mediatica della giustizia, ma questo è un altro tema.